I contratti collettivi di diritto comune

I contratti collettivi di lavoro stipulati dopo la soppressione dell’ordinamento corporativo sono contratti regolati dalle norme del diritto privato in quanto le parti stipulanti sono semplici «associazioni di fatto», addirittura prive di personalità giuridica loro propria. Ne deriva che il contratto collettivo è vincolante nei confronti dei datori di lavoro e dei lavoratori rappresentati dai rispettivi sindacati, rappresentanza che è implicita nell’adesione al sindacato. Sono rappresentati tutti gli iscritti al momento della stipulazione del contratto e anche (dal momento dell’iscrizione) coloro che si iscrivono successivamente in quanto l’ingresso in una formazione associativa implica l’assunzione dei diritti e degli obblighi anteriori all’acquisto della qualità di associato. I non iscritti al sindacato stipulante pertanto non hanno né gli obblighi, né i diritti contrattualmente stabiliti, almeno in prima approssimazione.

D’altronde, secondo una giurisprudenza ormai consolidata, il contratto collettivo deve essere applicato anche quando le parti abbiano in qualche modo «aderito» al contratto. L’adesione può essere esplicita, indicando nel contratto individuale o nella comunicazione di assunzione o nella lettera di assunzione che si applicherà un certo contratto collettivo, o anche implicita, attraverso la corresponsione ai dipendenti di una retribuzione corrispondente a quella prevista dal contratto collettivo, oppure attraverso l’osservanza di clausole contenute nel contratto collettivo; a maggior ragione si ritiene recepito il contratto collettivo se ne risulta la sua ripetuta applicazione.

Occorre poi tener presente che l’art. 36 della Costituzione dispone che «il lavoratore ha diritto a una retribuzione proporzionata alla quantità e qualità del suo lavoro e in ogni caso sufficiente ad assicurare a sé e alla famiglia un’esistenza libera e dignitosa» e che, secondo il disposto dell’art. 2099 cod. civ., «in mancanza … di accordo fra le parti, la retribuzione è determinata dal giudice, tenuto conto, ove occorra, del parere delle associazioni professionali». In pratica, se si adisce il giudice, lo stesso, nella maggioranza dei casi, per stabilire l’entità della retribuzione si regolerà (pur non avendone l’obbligo) secondo quanto previsto dal contratto collettivo del settore o, in mancanza, secondo quanto previsto dal contratto collettivo di un settore affine. Circa l’applicazione dell’art. 36 della Costituzione precisiamo che tale norma è ritenuta immediatamente precettiva, ma non applicabile d’ufficio, bensì soltanto se invocata giudizialmente dalla parte interessata.

Un contratto collettivo posteriore può contenere norme meno favorevoli al lavoratore rispetto a quelle del contratto collettivo precedente in base al principio della libera volontà e autonomia delle parti stipulanti che concludono il contratto dopo avere valutato, autonomamente e liberamente, la situazione esistente al momento della stipulazione e quella prevedibile nel periodo di validità del contratto.

Si può considerare giurisprudenza consolidata anche la possibilità che un contratto collettivo di grado inferiore (per esempio un contratto territoriale o anche aziendale, rispetto al contratto collettivo nazionale) stipulato posteriormente contenga clausole meno favorevoli al lavoratore rispetto al precedente (e tuttora vigente) contratto collettivo di grado superiore e questo particolarmente se tale peggioramento delle condizioni è giustificato dall’obiettivo di raggiungere altri risultati di preminente interesse dei lavoratori (per esempio evitare la cessazione dell’attività, incrementare l’occupazione, ecc.). Fatto salvo quanto subito diremo sulla attuale disciplina degli assetti contrattuali, non è stato ritenuto applicabile il principio ora richiamato nel caso della contrattazione articolata, quando cioè il contratto collettivo di validità più estesa (nazionale o intercategoriale) regola gli aspetti generali del rapporto di lavoro, mentre i contratti collettivi di grado inferiore (per le singole categorie, provinciali ed eventualmente aziendali) regolamentano più dettagliatamente i vari aspetti del rapporto. Con l’Accordo quadro per la riforma degli assetti contrattuali siglato il 22 gennaio 2009 (con esclusione della Cgil), poi attuato con l’Accordo interconfederale del 15 aprile 2009, si è segnato, dopo oltre dieci anni dalla conclusione dei lavori di verifica del Protocollo del 23 luglio 1993, il punto di arrivo, e al contempo di partenza, per una importante intesa globale (sia pure di carattere sperimentale) in merito alle regole e alle procedure di negoziazione e gestione della contrattazione collettiva. Ne deriva la riforma degli assetti contrattuali delle relazioni “di lavoro” in Italia, con importanti prospettive che si aprono per la contrattazione di secondo livello, che esce fortemente rafforzata nel nuovo quadro complessivo dei rapporti fra i diversi livelli di contrattazione. In particolare, il punto 16 dell’Accordo introduce una espressa “deroga-delega”, già contemplata in alcuni contratti collettivi, che viene generalizzata, per cui «per consentire il raggiungimento di specifiche intese per governare, direttamente nel territorio o in azienda, situazioni di crisi o per favorire lo sviluppo economico ed occupazionale, le specifiche intese potranno definire apposite procedure, modalità e condizioni per modificare, in tutto o in parte, anche in via sperimentale e temporanea, singoli istituti economici o normativi dei contratti collettivi nazionali di lavoro di categoria». L’Accordo ha operatività immediata e carattere sperimentale per la durata di quattro anni. Le parti territoriali o aziendali sono già delegate dall’Accordo interconfederale a modificare istituti regolati dal CCNL di categoria, sulla base di parametri oggettivi individuati dal contratto nazionale (andamento del mercato del lavoro, livelli di competenze e professionalità disponibili, tasso di produttività, tasso di avvio e di cessazione delle iniziative produttive, necessità di determinare condizioni di attrattività per nuovi investimenti), sempre che l’intesa sia preventivamente approvata dai firmatari del CCNL di categoria.

L’oggetto della contrattazione collettiva è individuabile essenzialmente in due diversi contenuti: normativo, che attiene al complesso di clausole che sono destinate ad avere efficacia nei singoli rapporti di lavoro: in altre parole, la disciplina dei rapporti individuali di lavoro subordinato; obbligatorio, che vincola a determinati comportamenti le associazioni (dei lavoratori e datori) tra loro.

Da ultimo mettiamo in evidenza che eventuali clausole contrattuali in contrasto con norme inderogabili di legge o peggiorative di norme di legge a inderogabilità relativa sono nulle e vengono sostituite di diritto dalle norme di legge.

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