Ammesso l’accesso agli atti delle ispezioni cessato il rapporto

La sentenza del Consiglio di Stato, Sez. VI, 6 maggio 2016, n. 1835, interviene con un nuovo posizionamento in materia di diritto di accesso agli atti ispettivi, in particolare ai verbali delle dichiarazioni rese dai lavoratori durante l’indagine ispettiva.

Prima del recente pronunciamento qui annotato con Circolare n. 43 dell’8 novembre 2013 il Ministero del Lavoro illustrando la sentenza del Consiglio di Stato, sez. VI, n. 4035 del 31 luglio 2013 è intervenuto in maniera decisa sul tema dell’accesso agli atti della ispezione del lavoro per sancire la odierna validità dei limiti sanciti dal Regolamento adottato dal Ministero del Lavoro con D.M. 4 novembre 1994, n. 757, che all’art. 2 elenca analiticamente quali siano i documenti sottratti al diritto di accesso, ai sensi dell’art. 24, comma 4, della legge n. 241/1990, prevedendo l’esclusione dall’accesso per i «documenti contenenti notizie acquisite nel corso delle attività ispettive, quando dalla loro divulgazione possano derivare azioni discriminatorie o indebite pressioni o pregiudizi a carico di lavoratori o di terzi» (lett. c) nonché per i «documenti riguardanti il lavoratore e contenenti notizie sulla sua situazione familiare, sanitaria, professionale, finanziaria, sindacale o di altra natura, sempreché dalla loro conoscenza possa derivare effettivo pregiudizio al diritto alla riservatezza» (lett. g).

La Circolare n. 43/2013, nel riconoscere che la sentenza annotata «si inserisce in un quadro giurisprudenziale connotato da orientamenti contrastanti ed oscillanti nel tempo», evidenzia come talora i giudici amministrativi e lo stesso Consiglio di Stato abbiano affermato «la prevalenza del diritto di difesa sancito dall’art. 24 della Costituzione», mentre in altre occasioni siano state riconosciute le «esigenze di tutela della riservatezza dei lavoratori unitamente a quella di preservazione della pubblica funzione di vigilanza».

In seguito con Lettera circolare n. 8051 del 2 maggio 2014 ancora il Ministero del Lavoro ha evidenziato la rilevanza per le attività istruttorie di competenza delle Direzioni del lavoro della sentenza del Consiglio di Stato, sez. VI, n. 863 del 24 febbraio 2014 che ha ribadito l’orientamento assunto con la precedente pronuncia n. 4035/2013, confermando la legittimità della sottrazione alla ostensibilità delle dichiarazioni rese dai lavoratori in sede ispettiva.

Ora Cons, St., Sez. VI, n. 1835/2016 afferma, al contrario, che non può trovare applicazione il principio di diritto sancito dalla sentenza n. 863/2014 quando «non vi sono più rapporti di lavoro in atto tra i lavoratori che hanno reso le dichiarazioni raccolte in sede ispettiva e la società che ha chiesto l’accesso ai relativi verbali». Secondo il più recente orientamento del massimo organo della giustizia amministrativa, infatti, «non esistendo più un rapporto di lavoro in atto, e considerato anche che le dichiarazioni controverse risalgono a più di tre anni fa, non risulta giustificato invocare la prevalenza delle esigenze di riservatezza del lavoratore rispetto al diritto di difesa di chi ha presentato la richiesta di accesso. Tale prevalenza non può fondarsi né sul d.m. 757/1994 (atteso che l’art. 3 del medesimo d.m. nel disciplinare la durata del divieto di accesso lo delimita finché perduri il rapporto di lavoro), né sull’art. 8 dello Statuto dei lavoratori, che pure si applica, come emerge dal suo tenore letterale, o in fase di assunzione o durante o svolgimento del rapporto di lavoro, ma non quando esso sia cessato. L’assenza di un rapporto di lavoro attuale rende, pertanto, il bilanciamento tra accesso e riservatezza sottoposto alla regola generale desumibile dall’art. 24, comma 7, legge n. 241 del 1990 che segna la prevalenza dell’accesso strumentale al’esercizio del diritto di difesa. Va aggiunto che nel caso di specie (in cui si fa questione dell’accesso ai nominativi dei lavoratori che hanno reso le dichiarazioni) non vengono in rilievo dati sensibili o giudiziari (ma semplicemente dati personali): non vi era quindi l’onere in capo alla società istante di provare l’indispensabilità dell’accesso ai fini della difesa giudizio».

In attesa del posizionamento della prassi ministeriale in argomento, dunque, appare difficilmente sostenibile, alla luce dell’odierno pronunciamento del Consiglio di Stato, un diniego all’accesso agli atti dell’ispezione quando i rapporti di lavoro oggetto di indagine ispettiva risultano già cessati.

 

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